Categoria: | Poesia |
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Come erano belle le ali del tempo
10,00 €
Mari ra Calabria, beddu, prima calmu, poi agitatu, culuratu verdi, ropu blu. I to occhi mu ricordunu. Sunnu beddi comu a iddu, amuri meu bellissimu.
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Mari ra Calabria, beddu, prima calmu, poi agitatu, culuratu verdi, ropu blu. I to occhi mu ricordunu. Sunnu beddi comu a iddu, amuri meu bellissimu.
Categoria: | Poesia |
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In un celebre saggio, apparso su «il manifesto» il 12 ottobre 2006, Lorenzo Imbeni sosteneva che «gli oggetti – vale a dire la realtà artificiale con cui intrecciamo un continuo rapporto nel quotidiano – si pongono come nodi complessi di relazioni attraverso cui esercitiamo il nostro legame operativo con il mondo, un rapporto multidimensionale che si esprime non solo nella funzionalità dei nostri atti fisici, ma anche nei significati simbolici, nelle immagini percettive, nelle relazioni sociali».
Del resto da Husserl in poi l’analisi strutturale dell’esperienza pura e senza mediazioni dei fenomeni
da parte della coscienza ha sempre privilegiato gli oggetti della quotidianità come centro dell’incontro con l’atto percettivo.
Ora queste poche pagine vogliono essere, a loro modo, un contributo allo svelamento dell’occulto che c’è nella esperienza ordinaria, secondo la lezione heideggeriana dell’agire progettante e del “fare con” gli oggetti, invece che del “pensare di” essi, mettendo definitivamente da parte tutto ciò che presumiamo di sapere sulle cose.
Ma forse è solo un gioco.
Questa raccolta di poesie è una carta da giocare per accantonare gli errori ormai commessi e poterne commettere di nuovi.
Riunisce momenti di empatia, sensi di colpa, prospettive, giudizi, amori, dolori, consapevolezze e sinfonie di rabbia attraverso le parole.
Adornare banalità.
Mentre rumoreggiano schermaglie di vacui duelli su come si scrive, su come si legge il dialetto barese, che molti vorrebbero lingua viva, ma la feriscono con termini desueti e pronuncia arcaica, altri si attardano con pensierini e dedicucce, tanti si dicono poeti e tanti detentori del verbo… arriva lui, Davide Ceddìa, con il dialetto 2.0 a dimostrare che il dialetto è lingua viva perché si nutre di cultura e si aggiorna come tutte le lingue vive.
Alla base, dunque, un bel bagaglio culturale, una bella sensibilità artistica, musicale, attoriale e poi un giovanile entusiasmo con cui affronta impegni artistici e poetici.
È davvero una bella soddisfazione constatare che la gente non è quel “popolino” che molti vorrebbero ammansire con dialetti sguaiati al servizio di risate grasse e volgari. Il popolo di F.B. ha promosso la raffinata e colta ironia di Davide che usa il dialetto barese per far ridere e sorridere, per commuovere e pensare. Così come deve essere. Poi ci sono le sue canoni, le sue musiche, le sue interpretazioni e la sua chitarra. Credo che Davide lascerà un bel segno del suo passaggio.
Vito Signorile
Un piccolo canzoniere. Ma non una raccolta casuale ed estemporanea. Perché se è vero che l’avventura poetica nasce per caso, quasi da subito viene sostenuta e indirizzata dall’idea di scrivere precisamente 52 haiku, o similhaiku (comunque poesie di soli tre versi): uno per ogni settimana che c’è in un anno. E di accompagnare queste poesie con testi, anch’essi brevi, che ne spiegano più compiutamente il significato o il contesto in cui sono nate, oppure si aprono a libere riflessioni o si trasformano in miniracconti di fatti realmente accaduti a chi scrive. Ecco allora che il canzoniere è diventato una sorta di diario (lirico, saggistico e narrativo) di un anno di esistenza, inaspettatamente influenzata dalla comparsa della pandemia, ma da questa né schiacciata né monopolizzata.
Passioni politiche e sportive, paesaggi naturali e urbani, amici e parenti, malinconie, rabbia e felicità… In questo modesto zibaldone c’è un po’ di tutto. Come nella vita.
Questo libro nasce da una medicina. Una medicina che ha squarciato la gabbia della mia psicosi. Quando l’ho presa, improvvisamente mi sono accorto di avere un passato, e che questo passato non si riduceva all’incidente del 2001, nel cui ricordo ero rimasto incapsulato. Improvvisamente rivedevo tutto: ma la mia memoria era stata irrimediabilmente violata, oltraggiata, traumatizzata. Il mio passato apparteneva a un altro. Io non ero più il Marco di prima. Nella mia vita si era creato uno spartiacque…
Caratteristica dei componimenti poetici giapponesi è la brevitas: solo tre versi rispettivamente di cinque, sette e cinque sillabe, in totale diciassette, senza dimenticare la dimensione naturale, cosmica, che la rende universale; come una specola sul mondo, un osservatorio emotivo, naturale, che si allarga al “noi” ovvero a quell’umanità che veniva al primo posto nella scala dei valori di un bravo medico quale Nicky Brienza è stato.
Nicky è uno stato d’animo, è mille storie, mille sigarette che detestavo e tante chiacchierate. Racconti, incontri, pensieri, promesse, canzoni, gioco. Ricordi di Famiglia. Piccoli segreti. È una voce corposa che risuona dal di dentro e ti parla ancora.
Rilke, nella lettera a un giovane poeta, afferma che un’opera d’arte è buona se nasce da una necessità. Questo mio lavoro non so dire se sarà buono, non lo sarà per i tanti che credono nell’inutilità della poesia, ma, forse, proprio questa gratuità lo rende prezioso; è un esercizio della gratitudine, un gesto concreto che farà “battere cuori”. Nasce dalla necessità e dal bisogno di verità che muove la scrittura, prima che si asciughi la memoria.
A coronamento di un programma di educazione dei giovanissimi su temi di rianimazione cardiopolmonare, parte dei ricavi derivanti dalla vendita del libro sarà devoluta per l’acquisto di un defibrillatore da donare all’associazione “La città che sale” del dott. Emilio Nacci, con il quale Nicky da qualche anno insieme al prof. Tommaso Fiore e, ultimamente, al dott. Nicola D’Onghia, portava avanti un progetto di educazione alla gestione dell’arresto cardiaco nelle scuole.
L’azione dello scrivere è capace di restituire concretezza e dare forma a sentimenti che solitamente scorrono via.
C’è bellezza nel donare, bellezza nel ricevere. Se questi haiku, brevi componimenti poetici nati nel Seicento in Giappone, si muovono verso una destinazione significa che c’è ancora desiderio nel mondo, c’è armonia, ci sono potenziali lettori a cui questi “scatti poetici” (solo diciassette more) possono s-velare qualcosa. O scatenare frammenti d’immaginazione. Si può rimanere impigliati con tutto il corpo nell’amore presente in questo tipo di scrittura o che da alcuni haiku “erompe”, scompiglia le anime, fa rumore… come certi silenzi che accolgono il cambiamento.
Questa raccolta celebra la dolcezza della vita che sboccia, il miracolo della nascita, è un canto di benvenuto per una nuova anima che porta con sé la speranza del domani.
I versi sono accompagnati dalle raffinate e intime illustrazioni di Lucia de Marco.
Dopo alcuni anni, l’Autore torna all’amore per la poesia e “canta” la sua terra, la Murgia pugliese, ricca di suggestioni che spaziano dai ricordi dell’infanzia alla descrizione dei luoghi, delle tradizoni, del tempo che scorre.
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