Categoria: | Quaderni |
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Il movimento cattolico pugliese (1881-1904)
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Quanti motivi per cimentarsi nella stesura di un testo su una tradizione religiosa così sentita nell’Italia Meridionale ed Insulare come quella della Processione del Venerdì Santo, ed in particolare nel proprio paese d’origine, Carbonara di Bari! Se ne possono stratificare diversi ed ognuno valido per quante volte è valido ciò che l’uomo ama di se stesso, della propria storia e della storia della propria gente, sia come ricordo che come osservazione del contemporaneo.
E volendo iniziare proprio da questo aspetto, un motivo può essere quello che la modernità non riesce ancora (e non potrà mai farlo) a cancellare del tutto le espressioni della devozione popolare. Al limite, le può solo modificare, come dice Francesco Pepe, ma la “sostanza”, il “core virale”, rimane denso e radicato.
Importanti, poi, possono essere i motivi che potremmo definire semplicemente “personali”, se non proprio “intimi”. Essi nascono da un vissuto di condivisione di lingua, costumi, luoghi o semplici momenti della vita di ogni giorno, con gente la cui voce in apparenza non sembra abbia pronunciato grandi parole.
Nel seguire la Processione del Venerdì Santo (a Carbonara di Bari come in ogni altra località del nostro territorio), si rivive la storia della nostra religiosità, sia nella raffigurazione scenica sia nell’aspetto antropologico altamente significativo e coinvolgente per la sopravvivenza di una Comunità.
È possibile parlare di un surrealismo italiano nelle arti visive negli anni tra le due guerre? Quale fu la risposta della nostra cultura artistica alla poetica e all’ideologia elaborata in quegli anni da Breton e compagni? A queste domande il libro vuole rispondere smentendo in particolare molti luoghi comuni riguardanti alcuni artisti italiani definiti “presurrealisti”, “parasurrealisti”, “surrealisti” essi stessi. Un’analisi rigorosa dell’opera pittorica e teorica di Alberto Martini, Licini, Prampolini, De Chirico e Savino li riconduce, infatti, ad uno specifico ideologico spesso molto distante dall’idea più ortodossa del surrealismo francese. La conoscenza del movimento d’oltralpe – che pure in molti intellettuali italiani era ricca ed approfondita – nella nostra realtà venne calata, però, in un contesto culturale restio, in quegli anni, ad estendere le proprie frontiere teoriche ed artistiche verso la psicoanalisi o il marxismo, né tanto meno disposto a modificare il ruolo dell’artista inteso solo come vate superiore ed inafferrabile, separato ed astratto. Documenti e testimonianze, scelti dall’autrice dal 1925 al 1940, aiutano a comprendere le reazioni della cultura italiana di fronte al movimento francese: alcuni episodi dell’arte italiana tra le due guerre vengono così ricondotti alle loro matrici più autentiche, liberati da falsi complessi di dipendenza dall’avanguardia europea. E se anche da questa, talvolta, un Prampolini o un Savino hanno tratto schemi e moduli linguistici, quasi sempre li hanno inseriti in un contesto ideologico autonomo e complessivamente estraneo al dibattito surrealista.
Questa “vita scritta da lui medesimo” attraversa la seconda metà del XX secolo dando conto dell’attitudine multi-esperenziale dell’Autore: la grande utopia del teatro, l’amore per la politica, la difficile prova del “civil servant”, lo studio dei fondamenti dell’economia aziendale, la costruzione di biblioteche ed ecomusei, l’esperienza di editorialista. Secondo Ennio Corvaglia e Nicola Saponaro è un libro scritto da un intellettuale “più scomodo che organico” in cui di certo “res nostra agitur”.
Prologo di Ennio Corvaglia
Epilogo di Nicola Saponaro
Di volta in volta considerato un “caso”, e respinto in quanto tale, o innalzato alle dimensioni del mito, il personaggio di Antonin Artaud ha suscitato a lungo risposte emotive più che discorsi critici. Colui che definì se stesso “un buco senza cornice” doveva diventare una specie di schermo vuoto sul quale la società proiettava i suoi fantasmi. Già all'atto della pubblicazione della Correspondance avec Jacques Rivière (1924), il gruppo di Breton si annette il giovane spiritualista e gli affida la direzione del “Bureau de Recherches surréalistes”, del quale egli guiderà l'attacco generalizzato ai valori della società. È il primo fraintendimento, che diventerà palese quando Artaud rifiuterà, in nome dell'urgenza della “rivoluzione mentale”, di condividere l'impegno politico dei surrealisti. Mentre risale a quel primo periodo l'immagine di un Artaud araldo dell'antipsichiatria, ispiratore e modello dei tossicomani, i grandi testi teorici e l'esperienza del teatro Alfred-Jarry ne faranno un pioniere dell'auspicata rivoluzione teatrale. Ma quanto può rimanere, se non a livello puramente tecnico, se si laicizza una teatrologia di derivazione esoterica, in cui si realizza l'incontro della tradizione eraclitea e del pensiero orientale? Il terrorismo apocalittico delle Nouvelles Révélations de l'Etre (1837) appare strettamente collegato con il fallimento dell'avventura messicana e con il vanificarsi del sogno di una rivoluzione “indianista”, eppure i due episodi faranno sì che Artaud si trovi arruolato dai politici di destra e di sinistra…
A quarant'anni dalla morte (1948), disponiamo finalmente dei XXII volumi dell'edizione Gallimard, che ci consentono di orientarci nel labirinto dei testi scritti negli otto anni trascorsi nel manicomio di Rodez e nei due ultimi anni, punteggiati di scandali. Al di là del folklore solleriano e del “rifiuto delle letture”, in nome dell'autoaffermazione dei corpi (lo “stato Artaud”), questo Itinerario risponde all'esigenza di eseguire il costituirsi e i crolli successivi delle impalcature culturali del poeta, per ricominciare a leggere Artaud, in relazione innanzitutto con se stesso.
Le vicende politico-amministrative dei più importanti Comuni in Terra di Bari (Monopoli, Bari, Bitonto, Trani, Molfetta, ecc.) le lotte, spesso aspre e senza esclusione di colpi, all’interno di un ristretto nucleo di famiglie nobili e “popolari” per il controllo del comune, l’emergere, a livello politico, della borghesia agraria e intellettuale, in un’ampia e approfondita analisi che può considerarsi come una vera e propria storia dei “ceti dirigenti” cittadini in un periodo così denso di avvenimenti per il regno di Napoli come i secoli XVI-XVIII.
“Parlare il corpo” con le sue maschere, a cominciare da quella che nella nostra cultura è la superficie più letterale: l'abito, forma di un rapporto del corpo con il mondo e con gli altri corpi. L'abito riveste, e nella iterazione è il richiamo a successive e infinite superfici, a una metamorfosi, che fa sì che il punto limite del corpo non sia il “corpo nudo” ma il ripetersi dei rivestimenti. La moda rappresenta una scrittura dell'abbigliamento, e qui 'scrittura' sta per tutto ciò che traduce, interpreta, costruisce e decostruisce il corpo, superandosi sempre: la moda si origina nel contrasto tra travestimento e carattere, e si fonda sul paradosso dell'obbligatorio e dell'immotivato. Solo l'abito e il maquillage possono esemplarmente esporre il corpo a un rapporto con la letteratura, l'iconografia, il mito, l'immaginario, le tecnologie, poiché ne “abbassano” la dignità fino alla frivolezza. Il rapporto tra scritture valica la sistematicità di struttura: è una scienza 'poco seria”, singolare e un po' curiosa di tutte le altre scienze.
I saggi qui raccolti portano su diversi livelli di discorso. È preminente quello della magia e della scienza attraverso le pratiche letterarie e in relazione con queste (nel teatro, nel romanzo, nella poesia e nelle riflessioni filosofiche), ed esso rivela la 'tentazione' antropologica nella lettura critica. Il secondo livello mette in evidenza problemi culturali che fanno da sfondo a specifiche opere letterarie dell'Ottocento francese (la gastrologia, l'erotologia). Il terzo, infine, offre all'analisi testuale particolari approdi nel campo della traduzione letteraria (La Fontaine, Césaire) e in quello della scrittura della scienza (Cabanis e Zola). Esorbitante rispetto a questi tre livelli, e in realtà filo che li percorre tutti, è il tema della popolarità. Esso conduce ai Mots di Sartre. Infatti, se la scrittura è segno magico, è il popolare che ne recupera il senso nella pratica letteraria.
Ho studiato il postmoderno al CeaQ, seguendo i seminari di Michel Maffesoli. Ho partecipato al workshop di Franko B e l'ho intervistato. Ho recensito performance in Italia e in Francia. Ho intervistato Kyrahm e Julius Kaiser, Angélique Cavallari, Manuela Centrone, Marco Fioramanti (per quanto riguarda la Body-Performance-art), Antonio Bilo Canella, per quanto riguarda la performazione teatrale. Infine ho performato io stessa. In questo saggio racconto la mia iniziazione. Attraverso il viaggio nel mondo delle arti performative voglio mostrare come questo contatto divino tra pubblico e artista avvenga non solo a un livello esterno di immedesimazione, ma fino al punto da eliminare la distanza tra pubblico, artista e opera e rendere possibile una fusione olistica, come rito di passaggio da uno stato di coscienza individuale verso una coscienza collettiva, tribale, postmoderna, sacra e profana che tutto impregna e trascende. (i.p.)
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